lunedì 18 luglio 2011

La ragazza dal nome impronunciabile



C'era una volta una bambina molto molto sfortunata a cui per una serie di circostanze ad oggi non del tutto chiarite venne dato un nome che ometteremo di scrivere perchè assurdamente lungo, irragionevolmente complicato e tale che per essere pronunciato richiedeva l'uso di fonemi non appartenenti alle principali lingue conosciute (i quali fonemi necessitavano peraltro di un lungo esercizio e un opportuno allenamento di tutta la muscolatura della bocca e della lingua).


La bimba era estremamente triste e sola. La sua solitudine sembrava senza rimedio giacchè tutti i bambini la scansavano e la ignoravano a partire dal momento in cui rispondeva alla domanda "tu come ti chiami?" (la sua sincerità e correttezza non le avrebbero mai permesso di rispondere con una bugia). Questo accadeva quando le andava bene; quando le andava male riceveva risposte mortificanti come "io mi chiamo Pina, solo due sillabe, PI-NA, semplice da pronunciare e facile da ricordare, non trovi?"


Ovviamente tra l'altro tutti coloro che la conoscevano e che partivano con il proposito di spedirle una lettera ritornavano sistematicamente sulla propria decisione quando arrivava il momento di scrivere il nome del destinatario.


Un giorno un bambino timidissimo chiamato Gino si innamorò di lei e volle dedicarle una poesia d'amore ma purtroppo l'inchiostro della sua biro (che pure era quasi nuova) finì molto prima che egli potesse completare la scrittura del nome dell'amata nel primo verso della sua composizione. Poichè la sua passione era ardente egli lottò con la propria timidezza e tentò di recitare a memoria la poesia di fronte a lei (nonostante avesse peraltro i più disparati difetti di pronuncia). Per quanto fosse determinato e concentrato non potè evitare di incespicare più e più volte nel tentativo di pronunciare l'impronunciabile, così il suo volto si tinse di un rosso intenso, scappò in lacrime e decise di rinchiudersi in camera per non meno di 1 mese e di uscirne solo in caso di emergenze estreme.


I giorni passarono e così anche i mesi e gli anni. La bimba dal nome improponibile ormai divenuta una graziosa ragazza (ahi-noi sempre con lo stesso nome) trascorreva le sue giornate solitarie affacciata alla finestra in attesa di veder tornare il proprio spasimante... o magari anche qualche - qualsiasi - altro straccio di spasimante che fosse uno. Salutava tutti i ragazzi che passavano con un sorriso che comunicava apertamente il suo disperato bisogno di contatti umani. 


Un giorno un ragazzo le ricambiò il sorriso e la salutò: "Ciao, che bel sorriso che hai" disse. "Grazie" rispose lei continuando a sorridere. I due si guardarono a lungo in silenzio. "Proprio un bel sorriso" ripetè lui inclinando il volto, "potrei rimanere a guardarlo per ore". "Grazie, ma non so se i miei muscoli facciali reggeranno per tutto questo tempo", "ma che bella voce che hai" incalzò, "parla ancora, voglio continuare ad ascoltarla". Lusinga dopo lusinga la ragazza si invaghì. Sembrava che non ci fosse alcun aspetto di lei che non suscitasse l'ammirazione incondizionata del nuovo cavaliere. "C'è solo una cosa che non so ancora di te..." disse alla fine della serata mentre erano seduti su una spiaggia solitaria a guardare il tramonto sul mare, "...e che sono sicuro che mi piacerà moltissimo come tutto il resto... Non mi hai ancora detto il tuo nome". "Sono un po' fuori allenamento" rispose lei "ma proverò comunque..." e iniziò ad emettere l'interminabile sequenza di bizzarri fonemi che era costretta a ripetere da anni ogni volta che riceveva quella richiesta. Il suo giovane ammiratore l’ascoltava inizialmente con curiosità, ma dopo i primi 12 minuti cominciava ad essere un po' stanco: "si sta facendo tardi" disse con un certo imbarazzo "temo di dover andare... finirai di dire il tuo nome la prossima volta magari", "e quando sarà la prossima volta?" chiese subito lei con apprensione mentre lui si allontanava accelerando il passo... di fronte alla vaghezza della sua risposta - che suonò come qualcosa di simile a "mi faccio sentire io" - lei non potè evitare di scoppiare in lacrime.


Come accade talvolta nelle fiabe quella notte passò di lì una fata "buona", e alla vista di una giovane e graziosa fanciulla che piangeva sola sulla spiaggia al chiaro di luna non potè fare a meno di prendersene cura. "Ciao, piccola" disse "è il tuo giorno fortunato: sono una fatina buona e sono qui per aiutarti". "Davvero?" disse con un moto di entusiasmo la ragazza (la quale come spesso accade in queste circostanze appariva inspiegabilmente del tutto a suo agio di fronte ad una umanoide in miniatura volante e luminescente). "Dimmi, bella fanciulla, cos'è che ti angustia così tanto?" domandò la fata. 


La sventurata fanciulla narrò trai singhiozzi le tristi vicissitudini che avevano afflitto la sua vita e la fata ne fu tanto commossa e addolorata che volle porvi rimedio mediante la bacchetta magica di cui disponeva in quanto fata buona. "D'ora in avanti piccola mia non sarai mai più discriminata" disse con piglio deciso, "Per il potere delle fate buone..." gridò mentre estraeva la sua bacchetta e la innalzava al cielo generando un fulmine e altri suggestivi giochi di luce, poi puntando l'arnese sulla ragazza aggiunse sentenziosa "...d'ora in avanti non sarai mai più diversa dagli altri nè in alcun modo discriminabile!!". 


L'energia fuoriusciva impetuosa dalla bacchetta sotto forma di una luce sempre più intensa, una moltitudine di fulmini globulari invasero il cielo accoppiandosi e riproducendosi per molte generazioni e infine si suicidarono tutti insieme riversandosi violentemente al suolo. "Oh porca miseria..." sussurrò la fatina mentre la terra iniziava a tremare sempre più intensamente e le acque del mare si sollevavano ed inondavano grandi porzioni di costa. L'energia sprigionata era ormai incontenibile, tutta la materia divenne presto instabile e l'intero universo collassò in un unico punto, tanto che ora nessuna sua parte era più in alcun modo discriminabile dalle altre.